Michele Omiccioli nasce a Fano nel 1981.
Maturità classica nel 2000, si laurea in Lettere moderne nel 2005 con una tesi sul romanzo ‘Corporale’ di Paolo Volponi.
La volontà di dipingere nasce da sé, nel marasma esistenziale di una vita. Dopo un anno di ingegneria, la folgorazione sulle orme di J. M. Basquiat. Importanti soddisfazioni si susseguono dal 2002 al 2007, con una grande mostra proprio quell’anno al Municipio di Norimberga (marzo 2007). La passione è pari all’impegno, fatica dopo fatica, risultato dopo risultato, per giungere all’oggi, foriero di nuove prospettive inattese.
“Mi avvalgo di un approccio pittorico piuttosto eterogeneo. Non mi piace dipingere in serie. Il quadro non deve apparire ma essere un esperimento, le cui variabili divengono elementi fondanti dell’opera in fieri, seppure sotto uno stretto controllo della mente e della mano. Occorre costruire il quadro per vedere oltre, utilizzando ‘imprevisti’, peculiarità del colore, del tatto, della superficie che si rivelano risorse, attese inaspettate che si accendono ad ogni pennellata. Il resto non mi interessa.
Il pittore non deve accontentarsi di un ‘progetto’ di quadro, ma deve cercare un’opera viva, inattesa, che scalzi il già visto nella sua mente. Un lavoro che dice tutto alla prima occhiata è già limitato nel suo orizzonte ispirativo. Ogni elemento, ogni dettaglio deve apparire e riapparire nella stratificazione delle letture, come pietre che riemergono da una marea, la marea della superficie.
Cerco continuamente di rendere questo, il paradosso della visione. Da una parte, creando istintivamente patterns ritmici astratti molto intensi, talvolta elaborati, spero non privi di una loro musicalità. Dall’altra, non posso non pensare a come architetture ‘potenti’ come quella del Gugghenheim di New York o la monoliticità di un Colosseo possano benissimo ribaltarsi in ruote, giostre, turboventole, in nuove visioni che arricchiscano l’interpretazione dei miei lavori, che definisco talvolta ‘opere critiche’.
Una pittura che vuole rappresentare e riflettere, mettere sull’attenti ed ammonire sui rischi della rappresentazione passiva di ciò che sembra e di ciò che è.”